‘Piombo’: il peso dell’istinto secondo Uno&Mezzo

‘Piombo’: il peso dell’istinto secondo Uno&Mezzo
‘Piombo’: il peso dell’istinto secondo Uno&Mezzo

Con il nuovo singolo “Piombo”, il duo strumentale Uno&Mezzo torna a dimostrare come la musica possa raccontare l’essere umano anche quando le parole tacciono. Un brano che si muove tra istinto e riflessione, costruito su una parte di batteria nata d’impulso e poi modellata fino a diventare materia sonora densa, pesante come il titolo suggerisce.

“Piombo” è un viaggio nel lato più oscuro e fragile della natura umana, dove la tensione diventa linguaggio e il silenzio è parte integrante del suono. L’assenza di voce non è una mancanza, ma una scelta precisa: quella di lasciare che siano le vibrazioni, i respiri e i contrasti a parlare. Dal vivo, questo universo prende forma in modo ancora più immersivo, tra immagini proiettate e frammenti di monologhi che accompagnano le performance del duo, trasformandole in un’esperienza multisensoriale.

Nell’intervista per Prima Music, Uno&Mezzo raccontano la forza dell’inconscio nella scrittura, la potenza liberatoria del palco e la costante ricerca di equilibrio tra umanità e disumanità, tra luce e ombra — un equilibrio che, forse, è proprio ciò che rende la loro musica così intensamente viva.

La scelta di non usare voce né testi è coraggiosa. Cosa può dire la musica quando le parole non bastano più?
La musica è un linguaggio universale, se si sanno toccare le corde giuste è possibile suscitare emozioni anche senza un testo. In realtà il nostro progetto è più ampio e trova la sua dimensione nel Live, dove proiettiamo immagini e intervalliamo la musica con monologhi celebri, cercando di creare un’esperienza immersiva per il pubblico.

“Piombo” nasce da una parte di batteria istintiva: quanto contano l’istinto e l’inconscio nella vostra scrittura?
Possiamo senza dubbio dire che è una parte fondamentale. I nostri pezzi hanno di solito una genesi molto breve, usiamo istinto ed immediatezza, cercando di far fluire liberamente il senso di urgenza che ci porta a fare musica.

Cosa provate quando lo suonate dal vivo? È più una liberazione o una ferita che si riapre?
Probabilmente una liberazione, dal vivo si crea un flusso che permette di far uscire tutto quello che abbiamo da dire, è un’esperienza che ci rapisce, nella quale ci immergiamo totalmente, con l’intento di creare la stessa sensazione nel pubblico.

Qual è la parte più “umana” di un brano che parla di disumanità?
L’essere umano è fortemente “disumano”, ha dentro di sè aspetti oscuri e auto distruttivi che cercano sempre di convivere con gli aspetti più nobili e buoni. Si tratta di una continua ricerca di equilibrio che crea tensioni ed instabilità, ed è quello che proviamo a trasmettere con la nostra musica.

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