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Curva Pura ospita la tripersonale di Elena Bellantoni, Arianna De Nicola, Delphine Valli, Quel che resta del fuoco

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ROMA – Fino al 9 ottobre 2022, Curva Pura ospita la tripersonale di Elena Bellantoni, Arianna De Nicola, Delphine Valli, Quel che resta del fuoco, a cura di Nicoletta Provenzano: un dialogo tra ciò che rimane sotteso nell’ardore trattenuto sotto la cenere, ciò che si forgia nel fuoco e serba le tracce della fiamma, ciò che si consuma e si perde nella propria dissoluzione e fine, nella sfumatura e somiglianza con un passato fuggevole che perdura racchiuso in resistenze, ricordi e spoglie incenerite.

“[…] In un de-terminare trasceso oltre la metafisica del linguaggio, nella decostruzione ed articolazione semantica plurima di Derrida, la mostra, che prende titolo dall’omonimo polylogue del filosofo, indaga ciò che resta irriducibile, che vive sotto la polvere, che rimane indicibile, inafferrabile e disperso, mentre trattiene la verità di un’essenza trasformata nella distanza di una liminalità fisica e temporale. La cenere appare come deposito o dimora di un fondo veridico, luogo e identità, sopravvivenza e cancellazione, materialità che espone e manifesta tautologicamente se stessa, assenza nella stessa condizione di presenzialità, tanto instabile quanto inestinguibile, offrendosi come voto conclusivo, serbando e ricoprendo, in uno svanire quasi riconoscente alla luce oscura del nulla, il passato che appartenne all’essere, ora inintelligibile, intoccabile e immemoriale. Le differenti poetiche delle artiste Elena Bellantoni, Arianna De Nicola e Delphine Valli attraversano questo fuoco linguistico in un transito materico, concettuale e spaziale, lasciandone discernere la non univocità, sussumendo e sublimando i suoi termini opposti, la verità del suo irreversibile mutamento, il suo valore mediativo. […]

Elena Bellantoni nell’opera fotografica Le Ceneri di Gramsci e Pasolini mette in atto una operazione concettuale e sentimentale site specific, incorporando il corpo vivo e vissuto della storia in un dialogo muto, risonante di echi nella libertà di una dimora sepolcrale, il Cimitero Acattolico, oltre il suolo consacrato dalla Roma pontificia. Sulle spoglie di Gramsci, nell’inquietudine e nel dramma irrisolto di Pier Paolo Pasolini, Elena Bellantoni interroga e riscrive l’intimità malinconica dell’assenza e le ceneri incendiate da un fulgore intellettuale, attuando una conversazione visiva tripartita, affidata allo sguardo dell’osservatore come quarto interrogatore della storia, in un volgersi insieme e un ritrovarsi verso la sofferta e fervida realtà italiana in lotta tra speranze e sfiducia, resistenze e contrasti, rigori e cedimenti. […]

Nell’opera installativa La cura di Arianna De Nicola una riconciliazione con la distruzione e sparizione della materia diviene fenomenologia poetica della disgregazione, sentimento suturale e catabasi in una interiorità lirica struggente che trova lenimento e purificazione nella contemplazione di un corpo che non è più, ma resiste ancora nel nero di una epidermide lignea arsa e ritualmente cinta, compresa e racchiusa da un conforto di stoffe. La Cura, dal latino arcaico coira, coera – che la tradizione medievista faceva derivare da Quia cor urat: perché scalda il cuore e lo consuma – si fa premurosa dedizione per un’essenza ormai perduta, unendosi ad un vulnerabile perpetuamento affettivo, ad una perseverante gestualità simbolica. Quasi in un’ignizione metaforica, il dolore si assimila e si oltrepassa come compimento ineluttabile e flusso vitale necessario, intimamente congiunto ad una corporeità sottile e fatale, eterica e ancestrale, cerimoniale e sacrificale, inclusa in una trama radicalmente viscerale, sostanzialmente esoterica e trascendente. […]

Lavorando la fiamma nella furia della fucina, Mechanical Absence (Una mattina ho acceso la radio e ho sentito una voce dire che il mistico non è colui che ha delle visioni ma colui che ha una visione) di Delphine Valli è un’elevazione spaziale che si forgia nella verticalità del fuoco, racchiudendo le ceneri dei giorni consumati nell’attesa, nella sospensione intellettiva e spirituale di un luogo confinario tra incidenza e separazione. Un’alchimia metafisica vibra nelle sfumature cromatiche, nelle bruniture propagate lungo il metallo lucente e irradiante che comprende e rilascia una sintesi assiomatica tra potenze lineari, condensazioni magmatiche e galvanoplastiche. Sinfonie fisiche si innalzano nella contrapposizione dei pieni e dei vuoti, disegnando tracce dimensionali aperte alla chiarezza tagliente dell’enigma, alla geometria audace e tensiva, pura e proiettiva, rivelandosi nitore icastico e materia viva dell’esperienza, trasformata in coscienza di una relatività tra spazio e tempo. […]”

Dal testo critico di Nicoletta Provenzano

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