Open Innovation: l’Italia finalmente decolla

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MILANO – Le aziende italiane che qualche tempo fa si sono affacciate all’Open Innovation in maniera “soft” ma ora stanno spingendo sempre più l’acceleratore, andando a progressivamente ridurre il divario con i leader dell’innovazione mondiale. L’Open Innovation, insomma, decolla anche in Italia, secondo quanto rilevato dall’ultimo “Open Innovation Outlook: Italy 2023” prodotto da Mind the Bridge con il supporto di SMAU e presentato stamani da Alberto Onetti durante la sessione di apertura di SMAU a Milano.

 

L’analisi è stata condotta sulle principali grandi aziende italiane (le cosiddette “billion-dollar companies”) e su un ampio campione delle migliori PMI italiane, andando a confrontare le performance di queste ultime con quelle dei leader mondiali dell’innovazione (ovvero le “Corporate Startup Stars”) al fine di fornire una panoramica dello stato attuale dell’Open Innovation e individuare punti di forza e aree da migliorare.

 

“Le principali aziende italiane hanno ampliato la loro profondità operativa. Per migliorare ulteriormente, sia le leader che le PMI dovrebbero abbandonare il cosiddetto “innovation theater” e concentrarsi piuttosto sui risultati, in particolar modo coinvolgendo le business unit, focalizzando le attività di scouting sui bisogni di quest’ultime e ampliando il proprio raggio di scouting tecnologico agli ecosistemi più maturi. Qui l’esperienza e le best practice dei leader mondiali dell’innovazione e delle PMI all’avanguardia costituiscono un benchmark prezioso. L’opportunità di imparare dai migliori è sicuramente un vantaggio per i late movers e un’opportunità che non dovrebbe essere trascurata”, ha commentato Alberto Onetti, Chairman di Mind the Bridge. 

 

Il Roadshow europeo di SMAU – che nella prima parte dell’anno ci ha consentito di confrontarci con i grandi player sulle piazze di Parigi, Berlino e Londra – ha dato prova che le aziende italiane stanno ricorrendo sempre di più all’Open Innovation come meccanismo per fare innovazione – ha aggiunto Valentina Sorgato, Amministratore Delegato di SMAUQuesto vale sia in termini di nuove collaborazioni avviate con le startup, siano esse PoC o collaborazioni commerciali, sia di progetti di co-innovazione tra le aziende, che mettono a fattor comune le esperienze in corso”.

 

Le prestazioni sono state valutate su una base quali-quantitativa (“must have”) che va da un livello “esplorativo” a “star”, incrociando molteplici indicatori e tenendo conto degli strumenti di innovazione e dei fattori abilitanti attivati ​​da ciascuna azienda, nonché della loro profondità operativa. Rispetto allo scorso anno, è stato registrato un consistente miglioramento della performance sia per le Top corporate italiane che per le Top PMI italiane.

 

In particolare, sul fronte aziende leader italiane:

Quasi tutte hanno una Unit dedicata all’Open Innovation, che solo in alcuni casi mantiene forti legami con i tradizionali dipartimenti di ricerca e sviluppo.
Questo si riflette nella diffusa consapevolezza strategica dell’innovazione: il 75% annovera l’innovazione tra i propri valori aziendali o nella propria mission.
Tuttavia sono ancora in ritardo in termini di presenza internazionalenell’innovazione: nonostante le molteplici recenti aperture (Eni, Acea, Terna, Pelliconi, A2A) solo il 20% ha un avamposto dedicato all’innovazione nella Silicon Valley o in Israele.
Il modello Venture Client per l’approvvigionamento di startup non ha ancora una portata globale per il 44% delle aziende leader italiane dell’innovazione, che attualmente filtra meno di 1000 startup all’anno con un prevalente focus nazionale o regionale.
Circa un terzo dei leader italiani si affida ancora a soggetti esterni per i propri programmi di accelerazione e startup studio. Si registra invece un aumento dei programmi di intrapreneurship e un diverso approccio, più operativo (finalizzato alla deal flow origination) e meno legato alle risorse umane.
Relativamente poche aziende (20%) hanno istituito fondi CVC strutturati di grandi dimensioni (tra 50 e 100 milioni), sebbene si registrino alcuni importanti investimenti diretti, come quello recente di Poste Italiane nella scaleup italiana Scalapay.
Le acquisizioni di startup restano sporadiche (circa 1 all’anno in media).

 

Contemporaneamente, sul fronte PMI:

A partire dal 2022, sono stati registrati progressi significativi da parte delle PMI, guidati da alcune aziende “pioniere” che potrebbero aprire la strada a miglioramenti futuri per l’intero settore.
La consapevolezza in merito al ruolo dell’innovazione e le Unit dedicate all’innovazione sono ormai la norma per circa due terzi delle migliori PMI italiane.
Alcune (12%) stanno facendo i primi passi all’estero stabilendo una presenza innovativa nella Silicon Valley.
La maggior parte delle PMI italiane sta compiendo passi esplorativi nella collaborazione tra imprese e startup esponendosi alle startup con l’obiettivo di stabilire collaborazioni a lungo termine.
Sebbene i numeri siano ancora troppo bassi per un adeguato processo di scouting tecnologico (circa 50 startup selezionate in media all’anno), si registrano già alcuni risultati preliminari, ovvero circa 1 POC/collaborazione a lungo termine per ciascuna azienda.
Poche aziende (16% del campione) partecipano a programmi di accelerazione di terze parti, mentre si registra un interesse generale per programmi di intrapreneurship orientati al deal e open challenge per startup.
Allo stato attuale investimenti e acquisizioni di startup potrebbero essere troppo dispendiosi in termini di risorse per essere adeguatamente implementati dalle migliori PMI italiane.
Un terzo delle Top PMI italiane è aperto ad acquisizioni di startup in futuro, circa la metà ha investito (somme relativamente piccole) in startup in passato ed è aperta a farlo di nuovo.

Il panorama Italiano

Allo scorso dicembre l’Italia registrava la presenza di 471 scaleup che hanno raccolto complessivamente $5.2B in equity dalla data di fondazione. In rapporto alla sua economia il nostro paese è tra quelli che hanno ottenuto risultati meno soddisfacenti, con 0.8 scaleup ogni 100mila abitanti e soltanto lo 0.02% del PIL impiegato ad alimentare l’economia delle scaleup. Basti pensare che nel paese più “vicino”, la Spagna, ci sono 1.5 volte più scaleup e 2.5 volte più capitale raccolto. Con gli altri paesi il divario è ancora più ampio. Segnali di miglioramento sono arrivati dai grandi round di Scalapay e Casavo (rispettivamente $0.2B e $0.1B) ma ad ogni modo l’economia scaleup italiana resta ancora sottodimensionata. Questo è il motivo per cui le grandi aziende italiane si vedono costrette a guardare all’estero (Silicon Valley, Middle East, Israele) per i loro bisogni di innovazione.

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