
Da venerdì 12 settembre è disponibile in rotazione radiofonica, sulle piattaforme digitali e in tutti i digital stores “L’aguzzino di me stesso”, il nuovo singolo di Foma Fomic.
Foma Fomic mette a nudo il lato più scomodo della mente: l’autosabotaggio. Il brano racconta, con ironia e lucidità, quella sensazione universale di essere il proprio peggior nemico. Lungi dall’essere un esercizio di autocommiserazione, il pezzo invita a guardarsi dentro senza paura, a ridere delle proprie fragilità e a sentirsi meno soli nelle proprie contraddizioni. In questa intervista, l’autore spiega perché la leggerezza può diventare un atto di resistenza e come l’ironia sia, per lui, lo strumento per trasformare il dolore in qualcosa di condivisibile.
Di seguito l’intervista con il cantautore milanese
Partiamo dal titolo: perché hai scelto di chiamare il brano “L’aguzzino di me stesso”?
Il titolo nasce da una sensazione in cui credo molti possano riconoscersi: quella di essere, a volte, il nostro peggior nemico. E’ una riflessione sull’autosabotaggio, su come la nostra mente può diventare la nostra prigione. E io non faccio certo eccezione. L’aguzzino è quel tizio che ti tiene in pugno, ti spinge a fare cose che in realtà non vuoi (o non dovresti) fare e, quando finalmente ottiene ciò che vuole, ti fa sentire come se non fosse mai abbastanza. In più, recentemente ho scoperto come si pronuncia correttamente la parola “aguzzino”, con le zeta dolci: non ho potuto resistere.
Nel pezzo affronti il tema dell’autodistruzione e dell’autocommiserazione, ma lo fai con ironia. Quanto è importante per te usare la leggerezza per parlare di cose difficili?
Parlare di temi difficili senza prendersi troppo sul serio ti permette di avvicinare il pubblico senza schiacciarlo con la pesantezza. Leggerezza non significa superficialità, ma il contrario: è un modo per alleggerire il peso emotivo delle parole, per rendere la riflessione più digeribile. A volte, ridere di noi stessi è l’unico modo per affrontare le nostre fragilità, senza restare intrappolati nella negatività.
Racconti una quotidianità “scomoda ma familiare”: quanto c’è di autobiografico in questo singolo?
C’è tanto di autobiografico, ma è anche un po’ una visione allargata. Non è solo la mia quotidianità, è quella di chiunque si ritrovi a confrontarsi con le proprie difficoltà, le proprie contraddizioni e la propria frustrazione. C’è sicuramente una parte di me in quel “salto il pasto se ho fame” o nell’ironia che uso per coprire il malessere. Però, al di là della mia solita routine da autodistruttore, il brano parla di qualcosa che va oltre: ognuno di noi ha un suo “aguzzino” interiore, quindi vorrei che il pezzo parlasse a tutti, non solo a me.
Parli di “una verità sgradita”: pensi che il pubblico sia pronto a guardarsi dentro e riconoscere il proprio “aguzzino interiore”?
Credo che il pubblico sia pronto, ma che sia difficile ammetterlo. Il primo passo è proprio quello: riconoscere quel lato oscuro di noi stessi, anche se guardarsi dentro può essere doloroso. Magari non tutti lo ammetteranno subito, ma sono convinto che qualcuno, ascoltando il brano, si senta un po’ meno solo nelle proprie contraddizioni. Noi siamo spesso i peggiori nemici di noi stessi e, per quanto terrificante, pensandoci bene, questa è anche una grande forma di libertà. Perché siamo ogni ora e ogni minuto della nostra vita nella piena facoltà di auto-distruggerci.
Cosa speri che gli ascoltatori provino dopo aver ascoltato questo brano?
Spero che gli ascoltatori si sentano un po’ più leggeri, che riescano a guardare con un po’ più di auto-ironia le proprie debolezze. Se dopo averla ascoltata qualcuno riesce a sorridere un po’ di più di fronte alla propria frustrazione, credo che sia un buon risultato.
L’ironia è la tua cifra stilistica: pensi che possa essere anche uno strumento di resistenza o di liberazione?
Assolutamente. L’ironia è, per me, un atto di resistenza contro la gravità della vita. Non è solo un modo per far ridere, ma un modo per prendere le distanze da ciò che ci soffoca, per non restare prigionieri dei nostri problemi. In un mondo dove tutto è sempre più grave e disperato, ridere di se stessi è un atto di liberazione, è una forma di resistenza silenziosa.
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